Recenzja Jolly New Songs – Music Map
Basterebbero le prime due battute dell’opener “Against Breaking Heart Of A Breaking Heart Beauty” per inquadrare “Jolly New Songs”, secondo album (uscito per Ici D’Ailleurs, Blue Tapes & X-Ray) del quartetto Trupa Trupa, band polacca originaria di Danzica già agli onori di cronisti e critici illuminati con il debutto “Headache” datato 2015.
Ritmo e frase di chitarra ostentatamente post, Slint, Albini, Disappears e June Of ’44 in poco più di dieci secondi. Game/set/match e tutti a casa? Manco a dirlo. E’ vero: il canto impersonale – talora un mezzo spoken word laid-back à la Chris Leo – del poeta e chitarrista Grzegorz Kwiatkowski si mantiene gelidamente piatto ed ovunque spuntano asimmetrie, disarmonie, tempi dispari, mentre qua e là vestigia di Women e Pixies (“Falling”) o dei più coevi Speedy Ortiz (“Jolly New Song”) si inseguono in un magistrale esercizio di stile superbamente orchestrato, ma freddo come la taiga a gennaio. Aggiungerei: volutamente off, “Jolly New Songs” ammicca furbetto in più direzioni, apparentemente sconclusionato, in realtà edificato con sapienza attorno al vecchio concetto di elitaria alterità tanto caro alle avanguardie. Disco cervellotico che sa di esserlo e che a ciò ambisce, si beffa di semplicità ed immediatezza in nome di intrecci sovente implosivi, beandosi di continuo della propria abilità di migrare tra disparate isole nel mare magnum dell’indie-qualcosa che tanto irretisce e confonde. E allora: fedele al crisma della pervicace rinuncia alla linearità compositiva e sempre alla ricerca di un disturbante effetto-sorpresa, ecco spuntare una “None Of Us” che è un bislacco blues catatonico stralunato ed allucinato (ricordare prego la “Stormy Weather” di Kim Deal & soci), requiem al trittico centrale formato da “Leave It All”, “Love Supreme” e “Never Forget”, di fatto un agonizzante quarto d’ora sguinzagliato alla deriva col supporto di pochissime parole tra scordature, suggestioni no-wave e reiterazioni mantriche assortite. Avanti: “Only Good Weather” è una cadenza da LCD Soundsystem, ma strafatta alla maniera dei Flaming Lips, vocalizzi su antica psichedelia stratificata, cambi di umore à la Mercury Rev protratti in quasi sei minuti di jam stravolta; e “To me” chiude ripetendo un’unica frase in un bailamme atonale affidandosi al fragore roboante di assordanti distorsioni à la Mono prima di placarsi in un lallare sinistro e desolato. Fine: cinquanta minuti collassati in una nebulosa di schegge e detriti, leit-motiv di un album che celebra in un patchwork di linguaggi la propria avversione per la normalità e per qualsiasi formalismo.